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I SETTE PILASTRI DELLA SÒLA (Jordan 2006)

© Alessandro Scarano 2006

giordania

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Amman, 21 aprile 2006

Ancora in giro per il mondo arabo, ancora in giro da “turista”, ancora in giro con “avventure nel mondo”.

Sfruttando il ponte del 25 aprile, mi sono concesso dieci giorni in Giordania: a dire il vero, avevo prenotato un biglietto aereo per andare da solo, ma la brevità del viaggio non mi avrebbe consentito di organizzarmi con i mezzi pubblici e di vedere tutte le cose interessanti.

Ho così deciso di appoggiarmi – ancora una volta! – ad “avventure”, i cui viaggi, nonostante i diversi “contro”, permettono in fin dei conti di visitare paesi senza dover passare settimane ad organizzare il tutto e poi, magari, scoprire di non poter contare su alcun compagno di viaggio (quanto è noioso viaggiare da soli...).

Volo Royal Jordanian da Fiumicino, ed eccomi ad Amman: siamo 2 uomini ed 11 donne, e finisco in camera con Guido, bancario che proviene dalle parti di Bassano del Grappa.

Il corrispondente di “avventure” ci è venuto a prendere all’aeroporto (il visto costa 10 dinari, 12 euro e 40 centesimi, non sono richieste foto) e ci ha portato con un pullmino ed una macchina allo Shepherd Hotel, niente male (stanze grandi con bagno, tutto abbastanza pulito, cena sufficientemente buona – pare che nessuno si preoccupi più di tanto del fatto che siamo in 13 a tavola...); da domani si comincia il giro.

Amman, 22 aprile

Dopo la consueta (per me, cortodormiente) sveglia verso le 5 del mattino, mi sono riaddormentato confidando nella sveglia del cellulare di Guido, il quale aveva però dimenticato di cambiare l’orario con il fuso.

Risultato, verso le 8 ho sentito delle voci nel corridoio e ho realizzato che eravamo in notevole ritardo, considerato che l’orario di partenza era fissato per le 8,30.
Velocissime abluzioni mattutine ed ancor più veloce colazione, peraltro tremenda (marmellata dal gusto sintetico e pasticceria più che solida), e via.

Prima tappa odierna, le rovine romane di Umm Quais, al confine nord con la Siria.

I 110 km di buona strada asfaltata scorrono attraverso colline prima aride, e poi punteggiate da ulivi e rocce, e cittadine i cui edifici – come quelli di Amman – non eccellono per originalità, essendo per la gran parte abbastanza squadrati, composti di blocchi di cemento e rivestiti della pietra chiara locale la stessa uguale per tutti, che evidentemente isola bene dal caldo.

Il cielo oggi è nuvoloso e fa freddino.

Di Umm Quais, l’antica Gadara, rimangono un teatro ed alcune rovine sparse tra i cardi; in lontananza si scorge il lago di Tiberiade, in mezzo alle alture del Golan delle quali finora avevo solo sentito parlare nei servizi televisivi sulle guerre tra ebrei e palestinesi.

Da Umm Quais ci siamo mossi in direzione del castello di Ar-Rabad di Ajlun, vecchia fortezza islamica costruita tra il XII e il XIII secolo, la cui visita richiede poco meno di mezz’ora.

Oggi è giornata festiva per molti locali (tra l’altro, questi sono anche i giorni della pasqua ortodossa), e ci sono svariati gruppi di gitanti chiassosi.
Dopo Ajlun, Jerash.

Sicuramente in epoca imperiale romana doveva essere una gran bella città, e ancora oggi destano impressione i due teatri, il colonnato lungo il cardo maximus, ciò che rimane del grandioso tempio di Artemide e, naturalmente, la curiosa piazza ovale cinta da colonne: due ore per la visita sono più che sufficienti.
Siamo sempre divisi in un pullmino da 9 ed una macchina da 4, più i rispettivi autisti; il pullmino, sul quale viaggio in quel “posto della suocera” che a me piace tanto, è molto silenzioso, quindi nessun imbarazzo ho avuto nell’isolarmi in cuffia con l’i-POD, dal quale i Motorhead sono riusciti a darmi la sveglia necessaria per affrontare la mattinata dopo le poche ore di sonno.

Tornati in albergo stanchi morti, abbiamo usufruito dell’ottima doccia calda (ci sarà pure qualche vantaggio a fare il “turista”) e siamo andati a piedi a mangiare al ristorante Jerusalem, dove abbiamo consumato una buona ed abbondante cena a prezzo contenuto (62 dinari in 13, ovvero 5 euro a testa).
Alla fine della cena ho pure scoperto che una del gruppo andava nel mio stesso liceo negli stessi anni, anche se in un’altra sezione: ovviamente, nessuno dei due si ricordava minimamente di aver mai conosciuto l’altro (a dire il vero, lei non si ricorda nemmeno di chi avesse come compagni di classe: ho trovato una messa peggio di me!).

Amman, 23 aprile

Stamattina siamo partiti verso est per vedere dei “castelli” nel deserto brullo e piatto, che non si sono rivelati eccezionali.

Il primo che abbiamo incontrato è stato il Qsar Kharana, una sorta di caravanserraglio diroccato, poi siamo passati al Qusayr Amra, un piccolo edificio affrescato al suo interno con un pozzo al di fuori, che dava l’impressione di essere lo scannatoio del notabile locale, e per ultimo il più grande per estensione (ma ridotto maluccio per crolli vari), lo Qsar Al-Azraq, pare utilizzato anche da Lawrence d’Arabia.

Invece di proseguire per la frontiera con l’Iraq, luogo sicuramente interessante dal punto di vista archeologico ma un pò insicuro negli ultimi tempi, siamo tornati indietro verso ovest, fino al Mar Morto.

La strada scende lungo la grande depressione, fino alle rive di questo salatissimo mare interno oltre il quale, se non ci fosse stata foschia, avremmo potuto scorgere Gerusalemme.

L’autista ci ha portato al Movenpick, un albergo a 5 stelle che consentiva, oltre che fare il bagno nel Mar Morto, l’uso delle sue piscine.
Superate queste ultime, piene di famigliole schiamazzanti, siamo scesi sulla spiaggia per dare un’occhiata a questa famosa distesa d’acqua salata, e sono ben presto rimasto inorridito: spiaggia con il bagnasciuga pieno di rifiuti, ed acqua con spazzatura di vario genere galleggiante qua e là.

Superato il primo momento di repulsione, ho provato il galleggiamento – molto particolare, in effetti: occorre sdraiarsi di schiena per evitare qualsiasi contatto dell’acqua con gli occhi, pena un bruciore infernale – ma sono subito uscito e, malgrado la folla di bimbetti che facevano casino, mi sono buttato a far vasche in una delle piscine d’acqua dolce.

Per completare il malumore giornaliero, gli autisti ci hanno portato nel consueto supermercato di “artigianato locale” (l’80% del quale è, manco a dirlo, made in india), dove ovviamente i (pochi) più smaliziati di noi hanno evitato di comprare alcunché.

Grande successo hanno invece riscontrato tra le donne i fanghi, sali, e prodotti di cosmesi “anticrepe” derivanti dal Mar Morto, nonostante i motteggi miei e del mio compagno di stanza, che avvertivamo le speranzose acquirenti dell’impossibilità di miracoli...

Dopo essere rientrati nel nostro albergo di Amman per una doverosa doccia, Emad Abu Rabie, l’autista del nostro pullmino, ci ha portato a cena in un ristorante ove era evidentemente ben conosciuto, e dove abbiamo mangiato bene ed abbondantemente per 8 dinari ciascuno, più le bibite.

Il locale, che fungeva quasi da piano bar visto che numerosi avventori erano lì anche solo per una partita a carte o una fumata di narghilè, era frequentato da uomini e donne sulla trentina, di classe medio-alta.

Un cantante, accompagnato da due suonatori di tastiere e percussioni elettroniche, si esibiva suscitando l’approvazione tangibile della gente, la quale però non applaudiva al termine di ogni canzone, come a noi sarebbe sembrato invece normale.

Emad ci ha fatto notare come non in tutta la Giordania le donne portano l’hijab, e che qui le ragazze girino non solo a testa scoperta, ma anche vestite abbastanza succintamente per gli standard del mondo islamico.

Lui è di origine palestinese, ha studiato ingegneria meccanica a Perugia prima e Milano poi, ovviamente parla italiano, e ora è il proprietario della compagnia che provvede al nostro trasporto, che ha a disposizione diversi pulmini ed alcune macchine (offre trasporti in e da Giordania, Libano e Siria: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

La prima discussione all’interno del gruppo non si è fatta attendere, e ha riguardato il dove trascorrere i prossimi giorni: c’è chi vuole vedere Petra per due giorni e poi andare a Gerusalemme, saltando Aqaba, per poi finire ad Amman il giorno prima della partenza per l’Italia.

Considerato che vedere Petra per due giorni mi sembra esagerato, che a Gerusalemme occorrerebbe dormirci per via degli orari della frontiera (che apre alle 9 e chiude alle 15 o alle 12 se è giorno festivo), che in fin dei conti sono venuto a vedere la Giordania, e che non mi va di rinunciare al mare (tra l’altro, un pernotto ad Aqaba è già pagato), credo che passerò due giorni a prendere il sole sul Mar Rosso, facendo snorkelling.

Wadi Rum, 24 aprile

Prima tappa di oggi il Monte Nebo, da quale secondo la tradizione biblica dio fece vedere la Palestina a Mosè e gli disse “questa è la terra promessa dove andrà il tuo popolo, ma tu te la prendi in saccoccia e muori qui prima di entrare”.

Il posto vale la pena di essere visitato come punto panoramico, ma oggi – come nei giorni precedenti – ci sono molte nuvole e parecchia foschia all’orizzonte.
È pieno di altri turisti, stranieri e locali, che si fanno la foto di rito sotto il monumento in bronzo tra le cui spire alcuni uccelli hanno fatto il nido.

Tira vento e ho freddo: ho commesso un errore madornale nella valutazione delle temperature, e sono venuto vestito come sono solito girare d’estate nei paesi tropicali; mi distraggo pompando dalle cuffie i Chemical Brothers.

Siamo poi passati a Madaba, per vedere il famoso mosaico nella chiesa di S. Giorgio che riproduce la pianta geografica della zona.

Da Madaba siamo andati a Kerak, il cui massiccio castello merita sicuramente più della mezz’ora risicata concessaci da Emad per la visita.
Emad è simpatico, utile per eventuali spiegazioni in quanto parla italiano (quanti problemi, in passato, con autisti locali che sì e no biascicavano qualche parola di inglese!), ma è troppo abituato a trattare con le carovane di turisti, e così tende a farci fare e vedere le cose che solitamente a tale categoria piacciono tanto, in quanto comode e per nulla personalizzate.

Purtroppo, però, questo gruppo con il quale sono partito tende per buona parte a seguire ciecamente il “programma”, e alcune donne girano addirittura con la valigia rigida tipo “Sansonite”, il che è tutto dire.

Con poche eccezioni, credo che non siano molte le fanciulle (fanciulle si fa per dire, qui l’età vera o dimostrata sembra essere ben sopra la quarantina, se non oltre...) che si sono documentate seriamente su quel che andiamo a vedere, ma sono qui in Giordania solo per quel che hanno sentito dire in giro.

Sta di fatto che, in linea con quanto sopra, veniamo portati al limitare del Wadi Rum, in uno pseudo-accampamento che ha addirittura bagni e docce in muratura, accanto ad altri simili “campi”, e dal quale si vedono sullo sfondo le luci di un paese.
Ma quale deserto?!

Cena – buona – con tanto di tavoli e piatti, diverse portate (pollo al barbecue, salse varie, riso, couscous, insalate, etc.), spettacolino finale come da prammatica, e tutti a nanna in tende da due o tre posti con pavimento in cemento, brandine, materassi, lenzuola e coperte (tutto pieno di polvere e sabbia, per cui ho utilizzato il sacco a pelo).
Mah...

Wadi Musa, 25 aprile

Dopo aver pazientemente atteso l’alba per le foto di rito, fatta colazione siamo partiti per un giro con due jeep guidate da beduini a vedere il Wadi Rum.

Tra la possibilità di fare un giro di due ore e uno di quattro, non si sa perchè (ragioni di budget della cassa comune, pare), è stata scelta la prima, ed è stato un colossale errore, perchè in pratica non abbiamo visto assolutamente alcuno degli elementi che rendono il Wadi Rum così particolare.

Le due ore sono trascorse facendo un breve e lento giro vicino all’accampamento, intervallato da qualche breve sosta per delle foto ed una lunga sosta di tre quarti d’ora – guarda caso, vicino ad una tenda di beduini attrezzati con bevande – di fronte ad una grossa duna addossata alla roccia, dalla cima della quale almeno si godeva un discreto panorama (che, per inciso, ci siamo goduti solo io ed il mio compagno di stanza, unici ad aver avuto la voglia e la forza di salire lassù).

Insomma, niente archi di pietra, niente sorgenti, niente Sette Pilastri della Saggezza, ma solo una supposta mappa nabatea scolpita su di un pietrone.
Come un cretino, avevo omesso di studiarmi la carta della zona e di chiedere ad Emad prima di partire cosa avremmo visto e cosa no, ma mi ero fidato della decisione presa da altri del gruppo e quindi mi sta bene, così imparo.

Tornati al campo, siamo ripartiti verso Siq Barid, detta la “piccola Petra”, che consiste in un corridoio nella montagna ove sono scavati un piccolo tempio, una cisterna, e numerosi buchi che sembrano ricoveri per trogloditi e capre.
Non c’era alcun turista, ed effettivamente il luogo non vale molto la visita: domani ci rifaremo con Petra (quella vera).

L’albergo ove alloggiamo a Wadi Musa (che è la cittadina creata appena fuori Petra quando il governo ha sfrattato i beduini dalla zona archeologica) è l’Al-Anbat, con camere pulite e spaziose, oltre che grandi; c’è anche una piscina, ma il tempo è brutto, tira vento freddo e sono già affetto dal mio tipico raffreddore da viaggio, per cui niente bagno ma doccia e riposino prima della cena.

Abbiamo mangiato in albergo, cena a buffet non eccezionale, e ci siamo “goduti” Raiuno, con telegiornale (ieri tre kamikaze hanno fatto 18 morti a Dahab, in Egitto) e “Il commissario Montalbano”.
Non sono abituato a simili lussi quando viaggio, ma dovrò adattarmi...

Wadi Musa, 26 aprile

Finalmente Petra!

Diversamente dal resto del gruppo (ovvero dalle donne), che vuole vederla per due giorni, io e Guido la vedremo solo oggi, per andare domani ad Aqaba.
Fatto il biglietto per un solo giorno, abbiamo lasciato le altre al loro destino e ci siamo incamminati per l’As-Siq, lo stretto corridoio tra due pareti di roccia che porta all’antica città nabatea, dribblando turisti, aspiranti guide, e conducenti di calessi, cavalli e cammelli.

Io Petra l’avevo vista più volte nei documentari televisivi, quindi sapevo più o meno cosa mi sarei trovato davanti, ma è il complesso del parco archeologico che impressiona più dei singoli elementi.

Di particolare, oltre alla grandiosità di alcuni monumenti scavati con maestria nella roccia, c’è l’alternarsi di sfumature di colore, che cambiano a seconda della posizione del sole nel cielo.

Dalle 9 alle 17 abbiamo camminato quasi senza interruzione, inerpicandoci per sentieri e scalinate tagliate nella roccia per raggiungere anche i posti più remoti.
I turisti sono molti, ma l’ampiezza del luogo consente di godersi la vista dei monumenti anche senza la presenza altrui.

La nostra condizione fisica ci ha concesso di vedere tutto in un solo giorno e di godere appieno dei punti più belli, e spesso ci siamo chiesti che diamine faranno le donne domani nello stesso posto: certo è che se si comincia con i “non ce la faccio, andate piano, ho fame, devo fare pipì”...
Per quanto riguarda me e Guido, contiamo di godere del dovuto riposo nei prossimi due giorni di mare.

Infatti partiremo domattina alle 7 con un pullmino che per 5 dinari ci porterà ad Aqaba, mentre il resto del gruppo girerà di nuovo per Petra.
Quattro delle ragazze, il giorno dopo, andranno invece a Gerusalemme e di lì ad Amman, mentre le altre ci raggiungeranno per un giorno al mare, e poi andremo tutti ad Amman con un mezzo fornito da Emad.

Cena di nuovo al ristorante dell’albergo.

Aqaba, 27 aprile

Il pullmino, alla fine, ci è costato 7 dinari anzichè i 5 pattuiti, ma siamo arrivati all’Hotel Aquamarina 2 di Aqaba, insieme con un’attempata coppia slovena ed una giovane giornalista di moda londinese, che viaggia da sola e con un abbigliamento che mi stupisco non le abbia causato finora problemi da queste parti (gonna calata a mezz’anca, e “filo interdental” in bella vista).

Sbrigate le formalità in albergo, ci siamo fatti fare il buono d’ingresso per l’Aquamarina Hotel per un pò di agognato mare, solo per scoprire che la “spiaggia” è costituita da un molo di cemento dal quale partono le barche per le crociere giornaliere; ovviamente, ciò comporta acqua sporca e gitanti che ti si accalcano intorno in attesa della partenza.

Le alternative sono un lembo di terriccio dal quale l’accesso al mare è impedito da una rete metallica e da una palizzata, oppure una piscina dalla limacciosa acqua verde che non consente nemmeno la visuale del fondo della vasca.
Ho fatto un tuffo nella zona “molo” dopo aver atteso che sparisse della poltiglia marroncina sospetta che galleggiava, e sono comunque risalito con un bel sapore di nafta in bocca.

Come vicini di ombrellone abbiamo due cristiani ortodossi locali, che mi hanno chiesto se per caso uno dei miei ciondoli fosse una Bibbia; quando gli ho risposto che si trattava di una sura del Corano, è cominciato il consueto colloquio sui problemi creati dalle religioni e dalle loro interpretazioni.
Strano come in certe parti del mondo le questioni attinenti la religione siano considerate di primaria importanza, e comportino discussioni infinite.

Ad ogni modo, i due ragazzi mi hanno detto che in Giordania vige la libertà religiosa, e uno di loro portava – senza alcun problema, pare – appeso alla catenina un piccolo crocefisso; sarà, ma quando parlava di Islam, lo faceva sempre abbassando il tono e guardandosi intorno con circospezione...

Verso le 5 ci siamo rivestiti, ben cotti dal sole (almeno quello!), e ci siamo fatti una passeggiata lungo la Corniche (non prima di aver constatato il luridume che pervadeva i bagni dell’Aquamarina).

Un improvviso bisogno di liquidi, zuccheri, carboidrati e grassi ci ha fatto entrare nel locale Mc Donald’s per una coca con patatine: in Giordania non esistono divieti di fumo, e anche il Mc Donald’s non fa eccezione, purtroppo, ma per il resto è tale e quale in tutto il mondo.

Di spiaggia pubblica ce n’è poca, una misera striscia di sabbia sporca, occupata da donnoni vestiti e con tanto di hijab, e dai soliti bimbetti vocianti.
Da tutta Aqaba si vede sventolare un’immensa bandiera su di un pennone che sarà alto cento metri, posto sul lungomare davanti ai pochi resti del vecchio forte, attualmente in fase di restauro.

Ho fatto anche acquisti: un etto di sumac, una spezia che qui mettono sul kebab, e – finalmente – il ciondolo ricordo del viaggio, una piccola mappa d’argento della Giordania con su la faccia di re Hussein, che è andata ad unirsi alla massa di ferraglia che mi pende dalla catenina da quando ho cominciato a viaggiare fuori dall’Europa.
Cena al ristorante dell’albergo, a buffet e buona (anche se avrei preferito un localino locale, ma il pasto era incluso nel prezzo della camera...), con ragazza chitarrista che allietava con discrezione la serata.

Sotto la finestra della nostra stanza, che da sulla facciata principale dell’albergo, per ore è andata avanti la “movida” aqabense del giovedì sera, prima del giorno di festa: ci sono stati dei pazzi che superavano le file di auto ad alta velocità contromano, facendo fischiare le gomme e rischiando collisioni frontali con chi veniva in senso opposto, conversioni a U con tentativo di investimento dei pedoni, clacson dai suoni più impensati (il migliore quello che suonava come il trillo di un vecchio telefono, di quelli in bachelite), il tutto nella massima allegria e senza conseguenze di sorta.

Non parliamo poi degli stravaganti modi di decorare i mezzi di locomozione, dai led luminosi alle varie tendine parasole.
In generale, la gente sembra divertirsi ed è abbastanza cordiale (spesso chiedono il paese di provenienza e, saputolo, danno il benvenuto), anche se alcuni negozianti mi sono apparsi più scontrosi.

Aqaba, 28 aprile

Giornata nuvolosa, con caldo umido.

Io e Guido siamo andati in giro per acquisti, e siamo finiti a far foto nel locale mercato, dove abbiamo trovato tre delle sei del gruppo che sono arrivate da Petra (altre quattro sono a Gerusalemme, una ad Amman).

Noi due siamo quindi andati verso la “spiaggia” dell’Aquamarina, dove erano le altre tre, sconcertate dal luogo come lo siamo stati noi ieri.
Abbiamo preso posto sul pontile di cemento, in mezzo a scolaresche femminili che, in attesa di partire in gita con una delle barche, facevano il bagno vestite di tutto punto, con jeans e maglie, alcune con l’hijab, altre senza.

La gran parte delle donne viste fin qui in Giordania lo porta, mentre sono percentualmente poche le donne che hanno anche il viso velato.
Altra passeggiata, nel pomeriggio, lungo la Corniche, dove abbiamo assistito ad una piccola rissa davanti ad un ristorantino locale, con gente di grossa stazza che se le dava ed un povero piccolo vigile urbano con elmetto chiodato che cercava di sedare gli animi e, nel frattempo, chiedeva rinforzi con il walkie talkie.
È stato l’unico episodio di violenza visto finora, mentre anche nel traffico più intricato manovre che provocherebbero da noi una sequela di insulti rimangono inosservate o tollerate.

Cena ancora in albergo, stavolta con il resto del gruppo, e passeggiata finale verso la Corniche (pare che non vi sia altro posto accattivante in città), in mezzo alla folla dello struscio del venerdì sera.

Diversa gente è venuta da fuori in questa Rimini locale: molti sono ripartiti a bordo di auto, pulmini e corriere, alcuni sono accampati lungo i marciapiedi su tappeti ove hanno sistemato fornello per il tè, narghilè, e loro stessi, che dormiranno direttamente sui tappeti.

Qualcuno ha pure piantato le tende nei giardini dietro la riva, e c’è anche una rappresentanza di boy scout.

Amman, 29 aprile

Siamo tornati ad Amman con un pullmino fornitoci da Emad e guidato da suo fratello, che ha percorso la Desert Highway in poco più di quattro ore per depositarci direttamente al grande teatro romano, scavato sul fianco di uno dei sette colli sui quali sorge al capitale giordana.

Da lì siamo saliti – sempre con il pullmino – alla cittadella, con le sue rovine romane ed il palazzo degli Omayyadi, del quale rimane solo un edificio centrale.

Purtroppo eravamo in ritardo per vedere la moschea di Abdullah, che pare chiuda alle 14,30, e ci è stata fatta vedere solo da fuori la moschea di re Hussein, dove pare non si possa entrare se non musulmani.

A farla breve, di Amman o non abbiamo visto molto, o c’è poco da vedere.
Non ci è rimasto, allora, che andarci a riposare nel solito Shepherd Hotel, prima della cena finale al Jerusalem.

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Com’è la Giordania?
Dipende da quello che si riesce a vedere: Petra è molto bella, Jerash pure, il Wadi Rum forse, Aqaba... chissà?
Mi rode non aver visto le cose più belle del Wadi Rum, mi rode aver visto solo il peggio di Aqaba, mi rode aver dovuto mangiare il cibo spersonalizzato dei ristoranti degli alberghi.

Purtroppo stavolta ho fatto male i conti: sperando di vedere di più con un viaggio organizzato, e pensando di non poter realizzare un viaggio auto prodotto in soli dieci giorni, ho rinunciato a fare da me e, quindi, a studiare approfonditamente i luoghi, mentre l’agenzia locale cui si è appoggiata avventure nel mondo ha proposto un “tour del minimo necessario con il massimo del comfort”.
In pratica, tutto il contrario della mia filosofia di viaggio!

Per quanto riguarda il resto, la Giordania non sembra essere un paese povero: girano belle macchine (pochissime moto) e non ci sono mendicanti per strada.
Emad ci ha detto che la situazione è peggiorata con l’arrivo dei profughi palestinesi ed iracheni “voi avete gli albanesi, noi gli iracheni, solo che questi in Giordania sono un milione e duecentomila”.

Pare che prima si potesse tranquillamente lasciare la macchina aperta per la strada, ma che ora sia rischioso.
Nonostante ciò, il paese appare sicuro, nessuno tenta approcci per spillarti soldi (salvo le inevitabili aspiranti guide nei siti archeologici), spesso quando siamo entrati in un negozio lo abbiamo trovato totalmente deserto, e siamo dovuti andare a cercare il gestore che magari stava tranquillamente conversando in un altro locale qualche decina di metri più in là, lasciando tutto sguarnito.

Architettonicamente parlando, ho notato che gli edifici sono pressoché tutti costruiti in maniera similare, e non esistono cittadine “antiche” come si possono trovare in altri paesi del mondo arabo (vista forse l’origine nomade dei beduini, i quali vivevano in tende e non costruivano città).

Insomma, la Giordania è sicuramente da vedere, ma il consiglio per chi dovesse andarci con avventure nel mondo è che, ad oggi, occorre rifiutare le prenotazioni fatte dal corrispondente in loco relative alle sistemazioni nel Wadi Rum e ad Aqaba, e regolarsi in maniera diversa.