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ROCK THE KASBAH (Maroc 2001)

© Alessandro Scarano 2001

Maroc

Camel

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Casablanca, 20 Agosto

Primo giorno in terra d’Africa. L’impatto non è poi stato così brutale, anche se in un solo giorno ho visto scene che avrebbero dato di che parlare per un bel pò a molti dei miei amici di Roma... Il volo (Alitalia, dopo tanti anni!) mi ha concesso, grazie alla bella giornata di sole, di godere di panorami strepitosi: Costa Smeralda, Baleari, nonché lo Stretto di Gibilterra, che come un babbeo ho dimenticato di fotografare, tanto ero ammirato dallo spettacolo ed intontito dalla riflessione che nell’antichità è stato per lungo tempo considerato come la fine del mondo conosciuto, oltre cui si precipitava nell’abisso.

Il percorso aeroporto-stazione-Ostello della Gioventù è stato fin troppo facile, grazie alle numerose insegne, ma il tanto osannato (dalla Lonely Planet) Ostello, che si trova a circa 300 metri dalla stazione ferroviaria Casa-Port era al completo; dopo una breve ma infruttuosa ricerca nella Medina di un posto libero in uno degli alberghetti del luogo (che meriterebbero un capitolo a parte, tanto per la pulizia - quale? - quanto in un caso per un’addetta alla reception che non parlava neanche il francese), mi sono affidato al classico Mustafà, che per una mancia di 21 dirham (quattromila lire, due euro, mettetela come volete) mi ha lasciato dinanzi l’Hotel de Paris, posticino dignitoso ove mi hanno chiesto 250 dirham (cinquanta sacchi, venticinque euro, insomma...) per posare finalmente il mio zaino. Durante la passeggiata Mustafà mi ha convinto a lasciare Casablanca il più in fretta possibile, dato che qui – a suo dire – non c’è nulla da vedere, mentre il meglio del Marocco si trova al sud.

Una veloce passeggiata (a passo d’avvocato romano...) per il centro città mi ha confermato le affermazioni del mio momentaneo cicerone: di notevole ho ammirato il Tribunale (ma guarda un pò!) e la vecchia Prefettura, esempi di architettura anni ‘20/’30 con influenze moresche. Dopo neanche dieci minuti sono stato fatto oggetto di un puerile tentativo di truffa: un tale, dicendomi di fare il portiere nel mio albergo (poteva pure essere, per come mi ricordo io le facce...), mi ha raccontato di avere il figlio in ospedale e di dovergli comprare le medicine ma di non avere il denaro perché la direzione dell’albergo era chiusa: se gli avessi prestato i 467 dirham necessari, me li avrebbe restituiti l’indomani, quando si sarebbe fatto dare la paga dalla direzione. Ma figuriamoci un pò! Mi sono poi fatto fotografare davanti al Tribunale da una ragazza che probabilmente era alla sua prima esperienza del genere: sono sicuro che la foto sembrerà scattata durante un terremoto. Aggirando le prime offerte di fumo nella Medina sono andato a dare un’occhiata alla moderna moschea Hassan II: vista da fuori sembra veramente grandiosa, e domattina non mancherò di visitarla con il necessario giro per i turisti. Dopo un breve riposo al fresco della brezza marina (la moschea è in riva al mare), mi sono ributtato nella medina, e nella sua miriade di venditori di frutta, verdura, cassette musicali, cianfrusaglie, animali vivi, animali morti (devo dire che la puzza si equivaleva), e tutto quant’altro si può trovare in questo piccolo souk, privo però della caciara che mi aspettavo.

Il casino si è invece scatenato sotto la mia finestra, sulla pedonale: oggi è giorno di festa in Marocco, e Casablanca è invasa da gente dedita al turismo (erano in molti a farsi fotografare davanti alla moschea Hassan II), ma soprattuto allo shopping, visto che qui è periodo di saldi. Il risultato è che dalla mia camera si sente un tale caos che mi sembra di essere a Testaccio durante la festa per lo scudetto della Roma; mi sa che stasera per dormire dovrò usare i tappi... Nella folla sono stato agganciato da un tizio che, dopo aver attaccato bottone in francese prima ed in inglese poi con il classico “da dove vieni?”, ha cercato di portarmi in un locale a bere qualcosa: al mio rifiuto mi ha chiesto 10 dirham, e quando gli ho negato la somma mi ha stramaledetto in italiano. Bah!

Sono uscito a cena con una simpatica coppia di Milano (i cui nomi non ricorderò mai); il ristorante Snack Bar Le Marin, citato dalla Lonely Planet, si è rivelato una mezza sòla, in quanto – volendo evitare il fritto di pesce – la paella che ci hanno servito era decisamente insipida ed anonima. Purtroppo, però, la particolare giornata festiva ha comportato il fatto che la maggior parte dei ristoranti fosse chiusa. La serata è poi proseguita andando a prendere un tè alla menta con i due suddetti e con Omar, arzillo anziano signore messinese che i due milanesi hanno conosciuto in albergo e che è sposato con una marocchina. Ho appreso da lui che qui il Ramadan non è solo una questione di non mangiare di giorno: pare che tutte le attività lavorative vengano concentrate nel periodo notturno, e che per chi visita il paese sia un serio problema trovare aperto un negozio. Tornato in albergo ho notato con piacere che il caos per strada era terminato, e con rabbia che, anziché i 250 dirham pattuiti, ne hanno voluti 350.

Casablanca, 21 Agosto

Nonostante sia andato a dormire tardi e stanco, il mio orologio biologico mi ha fatto svegliare “a Roma”, ovvero alle 4,45 locali.

Oggi visita guidata alla moschea Hassan II: gran bel posticino, invero, frutto dell’indefesso lavoro di migliaia di artigiani ed operai marocchini, con soluzioni tecnologicamente avanzate unite all’opera manuale; ora come ora, praticamente nuova di zecca, è un gran bel vedere, e spero che le foto scattate all’interno rendano giustizia almeno dell’insieme, se non dei particolari. La visita è stata funestata dalla presenza di un nutrito gruppo di turisti campani, caciaroni e – per la gran parte – irriverenti nei confronti di un luogo sacro; triste capitolo, come al solito, quello sugli italiani in giro a piede libero per il mondo!

A Casablanca ho visto auto e moto di marca, ho visto donne raccogliere croste di pane per terra in mezzo ai rifiuti del mercato, ho visto donne velate e donne scollate, ho visto una moschea ove si poteva mangiare sul pavimento e strade ove bisogna scavalcare i mucchi di rifiuti: l’unica costante è quella degli uomini – e solo uomini! – seduti ai tavolini fuori dai bar. Tutto sommato è una città che non rimpiangerò.

Rabat, 21 Agosto

A Rabat si arriva dopo un’oretta di treno, preso alla stazione Casa-Port; ho notato che i treni non sono molto dissimili da quelli italiani, se non per il fatto che l’aria condizionata funziona, sono in orario, e negli scompartimenti si entra in otto persone.

Oggi è la festa di re Mohammed VI, e la capitale è tutta imbandierata. La gente affolla tanto i mercati della medina (sono in Marocco solo da due giorni e già ho la nausea di mercati e mercatini) quanto le spiagge. Ho deciso di adeguarmi e così, dopo aver preso alloggio all’Hotel Majestic, a circa 400 metri dalla stazione, di fronte all’ingresso della medina, per la modica somma di 226 dirham per notte (almeno è tutto ristrutturato di recente, il bagno è pulito, posso pagare con la Visa), ho dapprima preso accordi con il locale Surf Club per una lezione domani, e poi mi sono sdraiato in costume a riva, in un punto meno gremito.

Un giro pomeridiano nella Rabat moderna mi ha fatto quasi sentire a casa, con un Mc Donald’s affollato di giovani armati tutti di telefonino (tenuto peraltro bene in vista, dato che ultimamente il suo grado di diffusione in Marocco ne ha fatto un vero ammennicolo d’obbligo), traffico impazzito per la chiusura dell’arteria centrale cittadina a causa delle manifestazioni per il compleanno regio, coatti in Audi cabrio con musica techno a palla. Mi sa che per vedere l’Africa che c’è nel Marocco mi devo muovere di qui.

La sera ho assistito a parte dei festeggiamenti di piazza per il genetliaco di Sua Maestà; c’era un kitchissima torta di cartone alta cinque metri, con “candeline” con in cima lampadine, il tutto sormontato da un cubo con quattro foto del festeggiato: intorno, diversi ensemble che eseguivano musica locale (almeno non erano quelle puttanate ad uso turistico). Devo dire però che nell’organizzazione non hanno avuto un gran senso dell’intrattenimento, almeno come inteso nel nostro show business: i gruppi spesso si suonavano l’uno addosso all’altro, creando un gran casino, oppure vi erano lunghe pause di silenzio durante le quali non accadeva assolutamente nulla, con evidente calo di tensione ed attenzione. Grazie alla pluriennale esperienza di concerti metallari sono riuscito a conquistare un’ottima posizione a ridosso della transenna, ma dopo una mezz’ora ho ceduto alla noia (e alla fame!) e sono andato a cena all’economicissimo (nonché infestato da formiche) Cafè de la Jenuesse; qui ho mangiato il mio primo couscous (alla vitella), e ho ritrovato quattro fanciulle venete presenti anche alla visita della moschea a Casablanca, dalle quali ho carpito un pò di informazioni sugli alloggi, dato che avevano finito il giro ed erano sulla via del ritorno.

Rabat, 22 Agosto

La prima onda. La prima onda, a dire il vero, è stata l’ultima, ma forse è meglio che le cose vengano raccontate dall’inizio... Non ho mai amato il windsurf (forse perché non ho mai avuto buoni rapporti – quando ero un teenager – con chi praticava questo sport che io consideravo “da atteggio”), ma il surf puro ha sempre avuto quel qualcosa che mi attirava: sarà stato “Un mercoledì da leoni”, oppure “Point Break”, o ultimamente un’invidia pre-senile nei confronti dei pischelli che ad Ostia passano le ore facendo su e giù per le onde mentre io concretizzo le mie giornate nella lettura di un libro steso sul lettino a riva, fatto sta che per me che odio nuotare e basta (per andare dove, poi?) il surf ha spesso rappresentato una buona alternativa ludica alla mera permanenza in acqua senza nè meta nè scopo. Ciò che mi ha sempre trattenuto dal voler imparare il surf ad Ostia è stata quella forma di orgoglio che mi impediva di poter essere fatto oggetto di scherno dai giovani “iniziati” (e devo dire che – in realtà – di trentacinquenni suonati che vogliano imparare ad andare sul surf non ne conosco affatto: sarò mica l’unico in crisi di età?), quindi ho colto al volo l’occasione offertami dalla possibilità di avere lezioni di surf all’Oudayas Surf Club di Rabat, Marocco.

Mi sono presentato in spiaggia alle 8,15, ora normale per i surfisti ostiensi, ma non c’era sole, c’era un vento fottuto e – soprattutto – non avevo fatto i conti che ero sull’Oceano: la bassa marea aveva arretrato l’acqua di un centinaio di metri rispetto al pomeriggio precedente, lasciando allo scoperto un fondale roccioso ai limiti della praticabilità. Dopo tre quarti d’ora passati ad attendere che si facesse vivo qualcuno al Club, mezzo morto di freddo (altro che Africa!) stavo già per fare fagotto ed andare a cercare un pullman per Tangeri, ma mi sono detto il fatidico “ora o mai più!”, e alle 9,00 ho varcato la soglia.

La lezione costa 60 dirham l’ora, compresa tavola e muta: resetto tutte le mie nozioni in materia d’igiene, in particolar modo quelle associate alle micosi e, indossata la muta (una Body Glove nera ed azzurra) e presa la tavola (una long board per principianti gialla), ben predisposto dall’accostamento dei miei tre colori preferiti seguo Said, che sarà il mio padrino in questa uscita battesimale. Devo dire che l’ambientazione non è affatto male: parte sabbiosa della spiaggia sotto l’antica casbah di Rabat, alla foce del fiume, con la città pirata di Salè sullo sfondo e musica berbera pompata dagli altoparlanti di un caffè sotto le mura. Imparo subito due cose: l’utilità della muta, senza la quale mi sarei congelato e, soprattutto, che il surf non è così facile come sembra a vederlo da riva. Nonostante la long board, che è la tavola più stabile, ho passato un’ora a fare voli in acqua: quando ero troppo avanti e mi affossavo, quando provavo ad alzarmi troppo presto ed “impennavo”, sta di fatto che nonostante le assicurazioni di Said, secondo il quale per essere la prima volta non andavo affatto male, mi sentivo il solito goffo idiota principiante. Per fortuna ho visto in vita mia troppi goffi idioti principianti per non sapere che prima o poi – salvo casi estremi, ma subito riconoscibili ad un occhio esperto – qualche risultato arriva: terminata l’ora, ho voluto tentare un’ultima onda. Non è alta, ma qui sono lunghe, dai bracciate, sentila sotto, aspetta che raddrizzi la tavola dopo la picchiata, uno, due, tre, in piedi, al centro, spostato indietro, piedi paralleli, che faccio, non cado?, perché?, vai avanti finché puoi, l’onda si esaurisce, è fatta. E’ ora di uscire, anche perché ho cominciato a tremare dal freddo, ma la vacanza ha avuto il suo senso già dopo tre giorni: nei prossimi, accada ciò che accada. Il bello è che al Club non c’era a disposizione neanche uno specchio, per cui dovrò attendere lo sviluppo della foto fatta con Said davanti all’ingresso per sapere che aspetto ho “da surfista”: che palle essere così vanesi...

Nel pomeriggio sono andato a visitare il locale museo archeologico: un pò sfornito, anche perché buona parte è in fase di allestimento, ma la Sala dei Bronzi ripaga abbastanza i ben dieci dirham pagati all’ingresso (effettivamente belle le teste di Giuba e Catone).

Meno male che sono divenuto un maestro nell’arte di perdere tempo quando non si ha nulla da fare, perchè altrimenti qui sarebbe da spararsi. Purtroppo l’unico treno utile per Tangeri parte alle 7,40 del mattino per cui, una volta fatta la lezione di surf, bisogna andare a zonzo fino a sera, cosa che ho fatto concludendo con un’altra cena al Cafè de la Jeunesse che, formiche a parte, non è poi tanto male (stavolta tajine di vitella). Come già Casablanca, Rabat non è poi un posto così entusiasmante, anche se ho notato – giusto a titolo di curiosità – che ci sono una palestra di Tae Kwon Do ed una di Aikido, quest’ultima purtroppo chiusa (non che mi sarei allenato, ma una lezione l’avrei vista molto volentieri).

Tangeri, 23 Agosto

Tangeri! Una delle Colonne d’Ercole, che una volta rappresentava la fine del mondo conosciuto e che ora è il trampolino di lancio per la disperazione di un intero continente. Ci sono arrivato dopo quattro ore e mezzo di noiosissimo viaggio in treno, attraverso una campagna riarsa e piatta. L’arrivo del treno ha scatenato i tassisti locali, vere e proprie belve a caccia di preda. Dopo aver evitato le esose richieste dei conducenti di grand taxi, privi di tassametro ed ingordi come me davanti ad un gelato, ho trovato un petit taxi che, pur non usando il tassametro (di cui era quanto meno provvisto), mi ha portato a destinazione per 20 dirham, quando gli altri ne chiedevano 50 per farmi fare il viaggio in braccio a qualcuno (i grand taxi sono normali Mercedes utilizzati come taxi collettivo, nei quali “devono” entrare almeno sei passeggeri).

La destinazione era – ed è – molto particolare. L’Hotel El Muniria è così descritto dalla Lonely Planet: “... dimostra tutti i suoi anni, ma rimane comunque un’ottima scelta. Le stanze pulite, con docce con acqua calda, costano Dr 110/130. c’è un che di nostalgico nell’aria anni ’50 dell’albergo, i resti di un passato che ha visto Jack Kerouac e Alan Ginsberg alloggiare qui, mentre William Burroughs ha scritto il suo Il Pasto Nudo nella stanza n.9”. La mia stanza è la n.3, con una bella vista sulla baia (e per una volta il costo, rispetto alle indicazioni della Lonely Planet, è di gran lunga inferiore: 53 dirham): certo, il letto ha la rete un pò molla e il tutto andrebbe ristrutturato (mi sa che dai tempi della Beat Generation non è stato toccato alcunché), ma credo che un paio di giorni vi vadano trascorsi, almeno per la vista dalla camera. Tra l’altro mi sono reso conto che gran parte delle città marocchine possono essere viste in una sola giornata o quasi, per cui si è creato il problema che, dovendo tornare il 5 settembre, devo trovare un modo per allungare il tragitto oppure un motivo per restare più a lungo in un posto. Ho provato a chiamare a casa per cercare di anticipare il volo, ma l’Alitalia non lo consente, causa la tariffa che ho pagato (cosa cambi alla compagnia se torno prima, qualora dovessero avere posto, non è dato sapere).

Ho fatto subito un salto in spiaggia, molto affollata ma tragicamente sferzata dal vento, che fa finire i minuscoli granelli di sabbia ovunque; un giro fino alla medina mi ha fatto invece constatare che qui, oltre ai previsti seccatori venditori di fumo, c’è un bel pò di gente disgregata, ma come non ne vedevo dai tempi di Amsterdam: non so se sia colpa di alcool, stupefacenti vari, o se abbiano delle loro proprie tare mentali, ma la quantità di persone disconnesse di cervello è impressionante. Per la cena ho optato per il ristorante Ahlan, che si è rivelato quello migliore dove ho cenato finora.

Tangeri, 24 Agosto

Sarà un momento di depressione, ma comincio ad avere veramente le scatole piene di questo paese. Stamattina sono andato di buon’ora al museo della kasbah, che prometteva un impiego di tempo ma che è chiuso per ristrutturazione. Che fare? Partire subito per Chefchaouen? E i panni chi li asciuga? Sì, perché stamattina sono pure riuscito a fare un pò di bucato... Di passare un altro giorno e mezzo qui non mi va affatto, ma se la situazione si dovesse ripresentare nelle prossime tappe finirei per aver completato il percorso preventivato con una settimana in anticipo. Va a finire che dovrò acquistare un altro biglietto aereo per tornare a casa prima.

Ho passato la mattinata cercando un volo per andarmene in Italia, ma sembra che il primo disponibile sia un Tangeri-Madrid-Roma che partirebbe il 28, e quindi tra quattro giorni. Non è tanto il mezzo milione che mi verrebbe a costare, ma che faccio nei prossimi quattro giorni? E se, una volta allontanatomi da questa città che alla fine ti deprime se ci passi più di mezza giornata, dato che non puoi frequentare la spiaggia per il vento assurdo che tira e la medina, una volta vista, non ti attira più, mi dovessi divertire? Certo, mi sa che in una Chefchaouen non resisterei più di 24 ore, e tra Fes e Meknes più di tre giorni che ci si va a fare... La verità? E’ che pensavo di poter fare tranquillamente un viaggio da solo con la previsione di incontrare gente in giro ma: 1) qui a Tangeri non c’è occasione, in quanto sono tutti di passaggio per andare altrove; 2) quando anche ho conosciuto altre persone sia a Casablanca che a Rabat, queste non mi hanno certo riempito le giornate. Ebbene sì, mi tocca ammettere che l’idea del viaggio in solitudine è stata una bella cazzata... Ad ogni modo il dado è tratto (ovvero la moneta è stata tirata: testa!), e decido di proseguire il viaggio come previsto. Comincio però a capire come al buon Burroughs sia uscito Il Pasto Nudo vivendo qui, date le paranoie che vengono per il vento e l’ambientino poco allegro in giro (neanche ad Amsterdam la notte: qui pure di giorno devo camminare guardandomi alle spalle!). La seccatura sarà attendere le 12,00 di domattina, orario di partenza del pullman, e considerato che ora sono le tre e un quarto del pomeriggio, c’è poco da stare allegri.

Il motivo che maggiormente mi rattrista è che ho paura di rimanere senza roba da leggere, e non è un problema da poco. Se hai un libro da leggere puoi anche startene stravaccato sul letto nella stanza o sdraiato sulla spiaggia o seduto su di una panchina, tanto il tempo ti passa e, a seconda del libro, puoi divertirti o farti una cultura, che poi non guasta mai. Ma se sono già a metà di Alta Fedeltà di Nick Hornby (gran bel libro, tra l’altro, uno dei migliori che mi sia capitato di leggere ultimamente, penso che comprerò anche Febbre a 90° anche se ho già visto il film, che era bello anch’esso) e mi rimane solo quel libro di Chatwin di cui neanche ricordo il titolo, ed è in fondo allo zaino, e neanche ci penso a tirare fuori tutto tanto per scrivere il titolo qui, dicevo se mi rimangono un libro e mezzo e parte di una Settimana Enigmistica da finire, che autonomia avrò? Il problema è che se sei in Italia giri l’angolo e compri anche qualsiasi cosa, purché sia nero su bianco, mentre qui trovi solo arabo – e non mi pare il caso, è vero... – e francese, che per come lo capisco io non mi servirebbe a granché. Guarda tu se mi tocca centellinare pure quello che leggo, come se non bastasse già mangiare solo a colazione e cena (ma questo per motivi economico-logistici: mi sembra quasi di fare un Ramadan!). Comunque ho deciso di fare un notevole investimento, anche considerando il prezzo: ho comprato una copia del Corriere della Sera, pagandola lo sproposito di 27 dirham, ovvero 5.400 lire, con le quali qui ci si riesce a fare quasi un’ottima cena. Ma non si vive di solo pane... 

Mi sono poi fatto una mezz’ora in spiaggia, tanto per ritoccare un pochino l’abbronzatura, ma ho dovuto capitolare per via del vento e, conseguentemente, della sabbia che stava per seppellirmi. Se tanto mi da tanto, come sarà possibile andare al mare ad Essaouira, che è detta “Wind City, Africa”? ma è un problema che mi porrò al momento, se mai ci andrò. Per la cena ho deciso di bissare il couscous con shihskebab da Ahlan in una medina sovraffollata per la giornata festiva – per i musulmani – del venerdì. Domani lascerò la ex Interzona e le angosce ad essa relative, inoltrandomi in quella che spero essere la parte più “africana” di questo Marocco che, finora, ha avuto l’aspetto di un deleterio meridione d’Europa.

Tetouan, 25 Agosto

Questa la devo scrivere “in diretta”. Siamo in viaggio per Chefchaouen su un pullman della CTM senza aria condizionata, con un tempo modello “cappa di piombo caldo umidissimo”. Il pullman è rimasto fermo mezz’ora nella stazione degli autobus di Tetouan, tappa intermedia, in un casino indescrivibile. Però ci provo. Immaginate un’enorme stazione coperta, con decine e decine di pullman uno messo peggio dell’altro, molti con i motori accesi e che tentano di partire contemporaneamente, incastrandosi a vicenda. In tutto ciò, sul nostro pullman fermo salgono decine di persone che vendono cioccolata, orologi, catenine, e perfino fumo. L’aria, che già è irrespirabile quando siamo in movimento, si può versare comodamente, dato il tasso di umidità, e i motori accesi non aiutano certo. Il bello è che intorno ai mezzi c’è un formicolare di gente che rischia ad ogni momento di finire sotto le ruote con tutti i bagagli, ma che pare se ne freghi altamente. Qui sul pullman i passeggeri marocchini hanno cominciato ad avere da ridire sulla situazione, soprattutto per via dell’aria condizionata che non funziona, e quando un marocchino attacca a discutere... Il coro di urla, grida, invettive e maledizioni sale sempre più forte, e raggiunge l’apice quando un torpedone prova a mettersi di mezzo per passare prima di noi, finché riusciamo a spuntarla. Nel frangente ho constatato l’utilità della Settimana Enigmistica quale ventaglio. Il viaggio riprende con un buon margine di ritardo su di una strada dall’asfalto molto, molto irregolare. Sperèm!

Chefchaouen, 25 Agosto

Chefchaouen bisogna conquistarsela. Bisogna farsi un viaggio disagevole in pullman, bisogna farsi zaino in spalla l’interminabile e ripida salita dall’autostazione, bisogna trovare un posto per dormire. Soprattutto questo.

Mi sono affidato ad un tipo del posto che, prima di trovare un letto (letto?) libero, mi ha fatto girare almeno dieci pensioni diverse. Ho al fine trovato un loculo stile Sassi di Matera nella Pension Valencia per 30 dirham, grande poco più del letto (letto? è completamente sconnesso, senza un solo tratto in piano!) e con una magnifica (?) finestrella che da sulla hall. La presenza di cimici è fortemente sospetta, data la situazione igienica generale, ma almeno l’acqua della doccia in comune è calda ed abbondante; il bagno è alla turca, con una tinozza da riempire per svuotarla per pulire.

Il fatto è che Chefchaouen, bellissimo paesino bianco e celeste sovrastato dalla vicina montagna, di una tranquillità atipica per una città marocchina, con la gente che passeggia tranquillamente senza fretta (tanto, dove andrebbe? il paese è veramente piccolo), con infiniti negozietti di artigianato locale, vive principalmente di kif. Qui siamo sulle montagne del Rif, ove viene coltivata la marijuana con la quale viene confezionato tutto l’hashish che invade l’Europa. Il kif è l’economia trainante di tutta la regione e Chefchaouen, dato il suo gradevole aspetto estetico, è stata eletta meta di giovani da tutta Europa come luogo ove trascorrere giorni fumando ciò che nelle loro città arriverebbe solo molto adulterato.

Qui si parla principalmente spagnolo, ma si sentono idiomi tedeschi, marocchini, francesi, italiani, inglesi. Una parte di turisti, che se lo può permettere, sfrutta le strutture alberghiere più ripulite, financo di lusso, mentre molti dei giovani si adattano a dormire su materassini estremamente sporchi buttate per terra, anche sulle terrazze. La mia Pension Valencia ospita quest’ultimo tipo di soggetti: molto simpatici ma, devo osservare, con un senso della pulizia veramente avulso dal mio, che pure mi adatto un bel pò.

Ho avuto la fortuna di incontrare Davide e Arianna, giovane coppia della provincia di Pesaro che era sul mio volo per Casablanca: siamo stati in giro pomeriggio e sera dopodiché, quando ho cercato di rientrare nei miei spaziosi alloggi alle 2 di notte, ho trovato il portone chiuso e nessuno rispondeva a scampanellate e bussate. Dopo ripetuti tentativi è sceso qualcuno dalla terrazza e mi ha aperto. Bontà sua! Questa sera ho anche assistito al corteo di un matrimonio, preceduto da una piccola ma estremamente “sonora” banda, con un nutrito gruppo di uomini che, in mezzo alla folla, sorreggevano una piccola portantina all’interno della quale – presumo, data la fatica che sembravano patire – si trovava la sposa.

Chefchaouen, 26 Agosto

Dopo una notte insonne passata a rigirarmi tra le gobbe del giaciglio sono passato alla Pension Cordoba per cercare Davide e Arianna. Loro ancora dormivano, ma ho scoperto che si era liberata una singola: mia! Fatti i bagagli, ho di corsa abbandonato la Pension Valencia ed i suoi occupanti mono e pluri cellulari.

Il Cordoba è preciso come pochi posti ove mi è capitato di dormire in giro per viaggi: alterna uno stile prettamente marocchino negli arredi e nelle rifiniture ad un’impronta particolarmente andalusa nell’architettura, con un ampio e luminoso patio centrale coperto ma areato, ed una saletta separata con divani bassi intorno ad un tavolo, il tutto coperto da drappeggi e cuscini. Questo per quanto concerne gli spazi “comuni”, ai quali va aggiunta una grande terrazza sul tetto: la stanza è di poco più grande di quella che avevo al Valencia, ma che differenza! Tutto è molto pulito e curato, i gestori sono estremamente affabili ed inclini alla chiacchiera, il pernotto mi costerà (con la colazione) 60 dirham. Dodicimila lire. Sei euro. Non hanno Internet, ma il numero di telefono dovrebbe essere sufficiente per le prenotazioni: 062519912 (senza lo zero se si chiama da fuori Marocco). Venite qui.

Il caldo incredibile che fa fuori ci ha costretto a rinfrescarci nella hall, dopodiché – via satellite – ci siamo visti “Quelli che il calcio” e “Novantesimo minuto”. Ebbene sì, anche qui. Cena, come ieri sera, al Granada, ma il (la?) tajine oggi non era un gran che. Stanotte in piedi fino alle due per vedere “Un mercoledì da leoni” su Rai1.

Chefchaouen, 27 Agosto

Siamo ancora qui, Arianna e Davide, coppia del pesarese, ed io, mentre i due milanesi Bruno e Stefano, conosciuti in viaggio dai pesaresi, oggi partiranno per la costa mediterranea prima di far ritorno in patria con il treno (ah, i tempi dei miei Interrail!). Davide mi ha attaccato il raffreddore, che spero sparisca quanto prima perché non ho mai sopportato di dovermi soffiare il naso nei fazzoletti di carta. Continuiamo a passare gran parte del tempo nella rilassatissima atmosfera della nostra bella pensione, lontani dal caldo afoso delle viuzze bianche ed azzurre che saranno sì affascinanti, ma da frequentarsi a pomeriggio inoltrato. Approssimandosi però il giorno della partenza, ci rechiamo sotto un sole a picco fino alla stazione degli autobus, ove apprendiamo con costernazione che le corse della CTM fino a Fes sono tutte piene fino a mercoledì compreso; unica possibilità alternativa, riesco a capire tramite una pluritraduzione di un simpatico argentino poliglotta, è andare domani alla stazione e sapere se per caso non siano saliti pochi passeggeri a Tetouan e, nel caso, risalire all’albergo per riprendere i bagagli. Se ne riparlerà domani, nel frattempo affrontiamo nuovamente l’erta salita fino al paese e ci buttiamo sotto una più che necessaria doccia. Il nostro albergo è un vero porto di mare, ma i giovani che passano di qui sono simpatici, e due chiacchere in improbabili guazzabugli linguistici si riescono a fare sugli argomenti più svariati, dal calcio (universale, come argomento!), ai disordini di Genova, alla situazione economica mondiale, ai viaggi (ovviamente!). il raffreddore avanza inesorabile, passo alle aspirine. La vedo male...

Ceno, come al solito, al Granada: brochettes, neanche malvagio come pasto, dopodiché partita a “Uno” con Davide e Arianna, con una lucente meteora nel cielo stellato a fare da sigillo alla serata.

Fes, 28 Agosto

Ho sudato più per Fes che per Chefchaouen, alla fine. Sceso alla stazione dei pullman per trovare posto per Fes, mi è stato detto di correre in albergo a prendere i bagagli, chè di lì a 20 minuti era prevista la partenza ed il posto c’era. Stabilito il nuovo record di Chefchaouen per quanto concerne la corsa in salita (ed il mio personale per quanto attiene alla quantità di sudore prodotta), sono riuscito a tornare all’albergo, salutare Arianna e Davide, e precipitarmi alla stazione nel tempo previsto (complice un utilizzo di petit taxi negli ultimi 300 metri). Peccato che il pullman non si sia fatto vedere e che alla fine, dopo molto patema d’animo, sia riuscito a salire su quello in partenza alla 16,15 anziché su quello delle 13,00.

Dato che l’arrivo a Fes era previsto per sera, ci siamo fermati a mangiare in quello che non può essere definito altrimenti se non un vero e proprio autogrill, dato che il mio pasto è consistito in un panino con carne grigliata preparata lì per lì in condizioni igieniche che avrebbero fatto inorridire mia madre, ma che sembra non abbiano portato – per ora – gravi conseguenze. Durante il viaggio, caratterizzato stavolta dalla ferocia dell’aria condizionata, ho approfondito la conoscenza di Sebastian e Daniela, coppia argentina che avevo già conosciuto ieri. Risiedono a Parigi, e lui studia composizione musicale a Strasburgo.

Giunti a Fes alle 20,30 passate ho iniziato il consueto pellegrinaggio alla ricerca di un alloggio; esauriti i primi due alberghi sulla lista, ho fatto la mia prima esperienza con gli Ostelli della Gioventù marocchini. Sono in stanza con altri quattro ragazzi che, da quello che mi sembra di capire, vengono dalla Scozia: il posto non sembra male, costa 55 dirham compresa la colazione ed appare pulito.

Fes / Meknes / Fes, 29 Agosto

Oggi gita di mezza giornata (tanto basta) a Menes, che si trova solo ad un’ora di treno da qui. A prima vista non si discosta molto dalle altre città marocchine di una certa rilevanza, con la sua parte moderna con tanto di Mc Donald’s (che ogni tanto mi tenta, ma per ora resisto e mangio marocchino), e la medina antica. A parte il solito souk, con le sue solite variopinte bancarelle ove si alternano frutta, falsi capi d’abbigliamento di marca, artigianato, falsi capi d’abbigliamento di marca, cianfrusaglie, falsi capi d’abbigliamento di marca (tutti sportivi, con tutti i modelli più recenti), per il resto di notevole a Meknes ho visto il Mausoleo di Moulay Ismail, grande figura della storia marocchina, ed i granai sotterranei di Heri es-Souani, veramente immensi quanto a misura.

Tornato nel pomeriggio a Fes, non ho fatto altro che scarpinare per la città nuova per raccogliere informazioni su orari e possibilità di prenotazione di pullman e treni. Il risultato è stato sconfortante: il mio progetto era di fare l’ultima tappa ad Essaouira, sulla costa, fare lì le compere di oggetti e ricordini vari, dopodiché partire a mezzanotte per Casablanca con il pullman della CTM per arrivare la mattina e prendere l’aereo. Purtroppo, però, la CTM non consente di prenotare quello specifico tratto, cosicché rischierei di arrivare ad Essaouira e rimanerci. Oh, potrei fare surf e non sarebbe male, ma penso che il lavoro subirebbe una flessione a Roma...

Qui all’Ostello mi sono reso conto della incredibile quantità di gente che scrive le memorie di viaggio: bisognerebbe organizzare un portale su Internet solo per questo tipo di racconti. A cena ho voluto incrementare la mia cultura culinaria marocchina con la pastilla dell’Ostello (un pò poca ed un pò cara: 40 dirham!), che è un misto – almeno nella sua ricetta originale – di carne di piccione, uova aromatizzate al limone, mandorla, cannella, il tutto impastato e ricoperto di una sfoglia di pasta di forma triangolare. Devo ammettere che il sapore non è malaccio, ma per prudenza ci mando giù anche una Coca Cola, almeno per la digestione. Già, la Coca Cola... sì, lo so che ho sempre detto “gonfia, ingrassa ed è simbolo dell’imperialismo americano”, ma all’estero il chinotto è un pò difficile da trovare, per cui tocca adattarsi.

Se tanto mi da tanto anche Fes non dovrebbe riservare sorprese particolari all’interno della medina, forse solo più grande delle altre; sto pensando seriamente di lasciare domani lo zaino al deposito bagagli della stazione ferroviaria, di andare a spasso tutto il giorno per la medina e di prendere poi il treno delle 20,00 per Marrakech, con arrivo previsto per le 5 del mattino. Ciò mi consentirebbe di programmare anche un’eventuale gita nel deserto, come consigliatomi da Sebastian e Daniela.

La serata è proseguita in allegria nel cortile dell’Ostello: c’era un gruppo di americani (alcuni dei quali avevo già incrociato alla Pension Cordobain quel di Chefchaouen, mentre un altro – tale Josh di Seattle – studia anch’egli composizione musicale, come Sebastian: due in due giorni, veramente curioso!) dotati anch’essi di “Uno”, per cui abbiamo unito il mio mazzo con il loro ed abbiamo dato vita ad una serie di partite protrattesi fino a tarda ora.

Fes, 30 Agosto

Salutati i ragazzi all’Ostello, sono andato alla stazione per lasciare in deposito lo zaino in modo da essere libero di girovagare per la medina di Fes senza tale zavorra. Al deposito mi hanno però sollevato un problema: lo zaino deve essere chiuso con un lucchetto e, dato che il mio non è predisposto, non avrebbero potuto accettarlo. Fatto sta che con il suddetto zaino in spalla ho fatto il giro dei negozi vicino alla stazione per trovare un sacco od un borsone ove mettere lo zaino; per fortuna ho trovato (a 22 dirham) qualcosa tipo “borsa della spesa”, ma grande a sufficienza e, soprattutto, in grado di poter essere chiusa. Depositato il fardello alla stazione, già sudato oltre misura, sono andato ad immergermi nel caos della medina di Fes.

Più che altro ho dovuto respingere le offerte di varie guide che mi sarebbero comunque state poco utili, dato che non è mai mia intenzione girovagare in cerca di oggettini od oggettoni da acquistare. La medina si è rivelata pari alle altre già viste per i tipi di merce offerta, anche se per estensione è di gran lunga la più grande visitata finora. L’unica medersa (ex scola di teologia) aperta e non in restauro – anche se ne avrebbe estremo bisogno – era la el-Attarine, carina ma malmessa.

Uscito dalla medina, sopravvissuto a guide, venditori e somari (sì, perché la merce spesso è portata lì a dorso di somaro, il cui conducente grida “Barek!” prima di farti calpestare dall’animale), mi sono piazzato su di una panchina all’ombra nel giardino Bou Jeloud, pieno di alberi e di enormi canne di bambù. Non è passato molto tempo che, mentre ero immerso nella lettura del Corriere della Sera di tre giorni fa, si è seduto vicino a me un ragazzo, inizialmente silenzioso ma che traspariva da ogni poro la voglia di attaccare bottone. Dati il luogo e la situazione generale, non è che gli abbia dato granché spago, almeno all’inizio, ma poi è andata a finire che effettivamente il tipo non aveva altro scopo che quello di fare due chiacchiere. Said (tale è il suo nome) studia all’Università, tra le varie cose, inglese e scienze islamiche: quando gli ho detto che lo scorso anno avevo letto tutto il Corano si è illuminato, ed è partita una conversazione su religione, politica, economia e, per finire, ovviamente, e come ti sbagli? calcio (è pure tifoso della Lazio, ma tu guarda questo...). Come al solito cerco di informarmi sulla situazione del paese che so visitando, e vengo a sapere che in Marocco c’è il 20% di disoccupazione, per cui un sacco di gente cerca di fare all’estero lavori che la popolazione locale snobba. Lui invece ha voluto soprattutto sapere della mafia (strano, anche in altre occasioni in giro per il mondo mi è stato spesso chiesto che cosa è la mafia e come opera). Ci siamo congedati con lo scambio dei rispettivi indirizzi informatici (globalizzazione: essere sulla Rete significa vivere dietro l’angolo anche se sei materialmente a migliaia di chilometri), e mi sono diretto al Museo Dar Batha, che mostra una piccola collezione di arte marocchina (legno, ceramica, metallo, stoffa).

L’arte del perder tempo: ho iniziato a coltivarla durante i cinque mesi che ho trascorso a Vicenza al servizio dello Stato, e consiste nel trovare soluzioni che consentano di far passare quel lasso di tempo, spesso e volentieri considerevole, che intercorre tra due cose da fare. Nel mio caso, oggi a Fes, devo attendere almeno le 19,00 per ritirare lo zaino dal deposito e cenare, prima di prendere il treno per Marrakech. Ho allungato il giro a piedi, ho camminato lentamente, mi sono fermato a bere una Coca Cola in un bar, ho rotto le scatole a dei venditori di cartoline chiedendone i prezzi anche se sapevo che non le avrei mai comprate (almeno non oggi), ho chiesto ad un libraio un libro che sapevo non avrebbe avuto, ed ora seggo su di un muretto in Place de Florence a godermi il fresco. Ma manca sempre un’ora e mezza, e i ragazzini sporchi oltre ogni limite che a quanto sembra stanno sniffando colla sono troppo vicini per continuare tranquillamente a starmene qui. Alla fine, ripreso il borsone con dentro lo zaino al deposito bagagli, consumo un pasto dal seguente menù: per primo, insalata messicana col tonno (scatoletta che porto sempre nei miei viaggi, almeno dal 1989), e per dolce cornetto GS alla marmellata (facente parte della dotazione per le colazioni), il tutto innaffiato da abbondante acqua minerale gassata Oulmés.

Mi dispiace davvero, devo ammettere, per la mezza sòla che ho dato a Davide ed Arianna, in quanto gli avevo promesso che sarei passato a prenderli stasera alla stazione dei pullman CTM quando fossero tornati da Chefchaouen, ma tanto Davide ha sempre detto che a Marrakech non era intenzionato ad andare, e io francamente di trascorrere un’altra giornata a Fes non ci penso neanche lontanamente.

Marrakech, 31 Agosto

Sono arrivato alle 5 del mattino, abbastanza stremato dalle 9 ore di treno, con uno scompartimento che mutava composizione ad ogni fermata. Mi sono fatto portare per 15 dirham da un petit taxi alla piazza Djemaa el-Fna, che è il cuore di questa città tanto famosa (per cosa, è ancora da vedere), ed ho cominciato la ricerca di una stanza. Quando avevo già girato quattro alberghi, mi sono imbattuto in Chris, ragazzo americano anch’egli viaggiatore solitario ed in cerca di una sistemazione. Considerata la situazione generale di “tutto esaurito”, abbiamo unito le forze e, alla fine, abbiamo trovato una stanza all’Hotel Provence per ben 125 dirham a testa (però siamo ad un passo dalla piazza centrale). Sempre data la situazione, non ci siamo fatti molti problemi e, dopo una doccia, sono piombato sul letto.

La mattina sono passato all’Hotel Ali per informarmi sulle gite nel deserto di cui mi aveva parlato così bene Sebastian: ho prenotato un giro di tre giorni, una stanza per la sera del ritorno, e mi sono diretto verso la stazione della CTM per prenotare il pullman per Essaouira. Sono poi andato a fare un giro per il souk con Chris, visitando la medersa di Ali Ben Youssef (vecchia scuola coranica ora in fase di restauro). A Djemaa el-Fna Chris si è fatto mettere al collo un serpente (dicono porti buona fortuna), ma io mi sono ritratto con orrore, data la mia avversione per qualsivoglia rettile. Mai e poi mai. Ripasso all’Hotel Ali e scopro di essere l’unico in lista per il giro di tre giorni nel deserto (mi costerebbe quindi 1.900 dirham), mentre il tour da due giorni vede già diverse prenotazioni; cambio prenotazione di tour e stanza, anche se i toccherà tornare alla stazione della CTM a cambiare la prenotazione per Essaouira, e torno in albergo a scrivere le cartoline. Ho visto di peggio, rispetto all’Hotel Provence, anche se ha i cessi alla turca con il secchiello da riempire per poi pulire tutto. La stanza ci costa molto perchè ha due letti grandi una piazza e mezza più uno normale, ma tanto ci serve per una sola notte.

Oggi pomeriggio abbiamo fatto i turisti in giro per palazzi e musei. Il Palais el-Badi, o quel che ne rimane, era (pare) uno dei più belli del mondo quando fu costruito (tra il 1568 ed il 1602), dopodiché è stato smantellato – e di brutto – da Moulay Ismail (sì, proprio quello del Mausoleo di Meknes) nel 1696. Il Palais de la Bahia invece è un insieme di cortili con fontane e stanzoni maiolicati con degli stupendi soffitti di legno lavorato. Dar Si Said, il Museo delle Arti Marocchine, presenta una collezione dei soliti tappeti, legni metalli, gioielli, terracotte, etc.

Nel tardo pomeriggio mi sono dovuto fare un’altra camminata di venti minuti fino alla stazione della CTM per cambiare la prenotazione per Essaouira. Il tipo allo sportello, che avevo interpellato in inglese perchè il suo collega questa mattina parlava bene tale idioma, è rimasto invece impassibile come una sfinge. Solo dopo che una ragazza marocchina che parlava inglese ha voluo aiutarmi, il tipo ha finalmente detto che lui capiva solo il francese: e potevi dirlo subito! Conclusa l’operazione grazie al mio forse maccheronico (a volte mi sento come Totò e Peppino a Milano: “Nòio volevuàm savuàr...”) ma efficace francese, sono alfine rientrato in albergo, non senza aver dato un’altra occhiata a Djemaa el-Fna, che cominciava ad animarsi sul serio con esibizioni di acrobati.

Ho notato che sto bevendo parecchio rispetto ai primi giorni passati in Marocco, ma devo dire anche che io, che neanche in palestra sudo moltissimo, sto decisamente traspirando più del solito (a furia di stappare bottiglie di plastica mi sta addirittura venendo una vescica al pollice).

Djemaa el-Fna: la sera muta radicalmente il suo aspetto. Il gran casino che impera durante il giorno si eleva verso l’imbrunire all’ennesima potenza, con decine di metri di tavolate di cibo (ottimo, peraltro, come abbiamo voluto constatare di persona), nonché svariati capannelli di gente intorno a saltimbanchi e suonatori. Ciò che impressiona, avvicinandosi alla piazza, sono le enormi volute di fumo che si sprigionano dai barbecue delle bancarelle, con il risultato scenografico di un girone dantesco di carattere infernale. Ci siamo anche concessi il lusso di una bibita su una delle terrazze di uno dei tetti che circondano la piazza, e così di un panorama veramente unico. Domani ci aspetta una sveglia di buon’ora per essere sotto l’Hotel Ali alle 7,00, ora di partenza della nostra gita sull’Atlante e nel deserto.

Zagora, 1 Settembre

Siamo arrivati all’inizio del deserto sabbioso. Il viaggio, con un Ford Transit, l’ho fatto insieme a Chris ed altre otto persone, due ragazzi e sei ragazze. Tra americani, australiani, neozelandesi, irlandesi, sono l’unico che non ha per lingua madre l’inglese, nonché l’unico a non avere gli occhi chiari (questo tanto per una precisazione estetica). Devo ammettere che quando parlano tra di loro non capisco quasi un accidente, anche se alla fine non rimango proprio escluso, e riesco a partecipare ad alcuni giochini da viaggio oral-sequenziali basati sulle lettere dell’alfabeto, tipo “attore, film, attore”. Tra una sosta e l’altra dedicata all’acquisto di bevande, visitiamo la kasbah di Maktoub, fortificazione fatta di fango e canne che si trova su una spianata in riva ad un fiumiciattolo, e dalle cui torri di domina la valle. Per il resto passiamo attraverso e sulle montagne dell’Atlante, per la maggior parte estremamente brulle. Passato l’Atlante si arriva nel deserto sassoso, la cui aridità è di rado mitigata da un rivoletto (ma proprio “etto”) di acqua, che risulta però sufficiente per coltivare qualcosa. Dopo il deserto di sassi, mentre  sulla destra lo scenario non cambia, sulla sinistra, dove ovviamente c’è dell’acqua, vediamo migliaia di palme e di orti protetti dal vento sabbioso per mezzo di muretti. Riusciamo anche a beccare le prime gocce di pioggia da quattro anni a questa parte. Il viaggio fino a qui è stato lungo 365 km, stando all’autista, ma è durato più di dieci ore.

Da Zagora paese siamo montati su una piccola carovana di dromedari, che in uno scenario veramente difficile da descrivere, nel deserto con la luna piena, alla luce della stessa, ci hanno portato fino a quattro tende ai margini del deseto sabbioso. Durante il tragitto, trascorso tra allegre battute sulle condizioni delle nostre parti basse vituperate dal dondolio dei nostri destrieri, ho avuto lo tentazione di accendere la mia torcia elettrica per dare un’occhiata intorno, ma mi sono trattenuto perchè mi sono reso conto che – data l’ambientazione – sarebbe stato quasi un gesto sacrilego. Giunti a destinazione, su dei tappeti stesi tra le tende, abbiamo cenato con tajine al pollo, dopodiché si è alzato un vento insistente che ci sferzava non poco con la sabbia, sicché siamo entrati nelle tende dove queste specie di Tuareg che ci hanno guidato qui e rifocillato hanno buttato dei materassini bassi e ci hanno dato dei simulacri di lenzuola la cui pulizia lasciava molto a desiderare. Per fortuna avevo previsto tutto, e mi sono sdraiato sul mio pareo (non senza aver dovuto improvvisare un bagno oculare con il tappo della bottiglia dell’acqua per eliminare la sabbia che mi stava distruggendo gli occhi).

Marrakech, 2 Settembre

Mi sono svegliato con la sabbia dappertutto, nel naso, nelle orecchie, nella bocca. Dopo aver visto l’alba (devo dire, niente di eccezionale quanto a colori) e fatto colazione siamo ripartiti a dorso di dromedario (anche se lo chiamano cammello, ma di gobbe ne ha una sola) per Zagora, dove ci siamo appoggiati al bagno di un locale albergo per le nostre necessità, che a questo punto comprendevano necessariamente anche una passata di testa sotto il rubinetto del lavandino. Il caldo era già sufficiente a farmi bere una Coca Cola gelata alle otto del mattino.

Ripreso il Ford Transit siamo rientrati a Marrakech. Durante il viaggio, stavolta durato un pò meno per il minore numero di soste, i miei amici anglofoni hanno ininterrottamente organizzato giochi di parole, canti e casini vari, giungendo financo a cantare i rispettivi inni nazionali: quando mi hanno chiesto di cantare il mio, mi è toccato improvvisare una piccola lezione di storia patria per giustificare l’avversione nei confronti dell’inno di Mameli e la conseguente ignoranza del suo testo. Li ho visti perplessi. Quando penso che sono già un pò stanco di due settimane di viaggio, e che non vedo l’ora di tornare al mio bagno ed al mio cibo, e vedo loro che sono in viaggio chi da due, chi da quattro, chi da otto mesi, e addirittura una da sedici (!), mi sento disorientato: sono io ad essere provinciale, o sono loro che se ne fregano e tirano avanti, vestiti alla meglio, quasi sempre scalzi, pronti ad adattarsi in qualsiasi occasione? Ad ogni modo, vorrei sapere dove trovano i soldi per stare in giro così a lungo...

Adesso ho una stanza all’Hotel Ali, ed in questo momento mi godo la vista della Djemaa el-Fna dalla terrazza in questo inizio di serata. Come previsto, il casino è già niente male. Salutati i compagni di viaggio nel deserto, ora in partenza per un giro in Europa, mangio in piazza e torno alla mia stanza. Particolarità della stanza 201 dell’Hotel Ali: non è molto grande, ma è il problema minore; ha una finestra stretta, lunga e alta sopra il letto, che da sulla rampa delle scale, la quale per fortuna corre intorno ad un cortile, per cui un minimo (ma proprio minimo) è areata; da questa finestra pende una tenda che finisce a circa 40 cm dal letto, per cui o stai sdraiato o tocchi la tenda; se provi a scostare la tenda, chiunque passi per le scale ha l’opportunità di farsi i fatti tuoi; ma la cosa più assurda è il bagno annesso alla camera, stretto e lungo con in fondo la doccia ed in mezzo il water, che si trova però nella parte frontale con il muro alla distanza di un centimetro: provate a fare quello che dovete fare con questa sistemazione logistica... sta di fatto che qualcuno prima di me si deve essere innervosito per la situazione, sicchè ho trovato la tavoletta sradicata dal suo posto, in modo tale da poter essere messa di traverso rispetto alla tazza: che tocca fà per campà!

Essaouira, 3 Settembre

Finalmente un pò di spiaggia! Dopo una notte quasi insonne per via dell’andirivieni che regnava all’Hotel Ali, accompagnato da una discreta dose di caldo umido (il condizionatore c’era, ma avrebbe comportato – dato il rumore che faceva – l’utilizzo di tappi per le orecchie, incompatibili con la necessità di sentire la sveglia alle 5,40), ho preso il pullman CTM delle 7,30.

Dopo il consueto pellegrinaggio zaino in spalla, ho preso alloggio all’Hotel Civilisation des Remparts, in una grande stanza per tre persone, con un grande bagno che però ha lo sciacquone che non funziona (c’è l’apposito secchio) e la vasca il cui smalto risulta eroso dal tempo, il tutto per 100 dirham.

Dovendo effettuare qui tutto il mio shopping, mi sono dato un’occhiata intorno, solo per scoprire che più o meno hanno in vendita tutti le stesse cose. La spiaggia non sembra affatto brutta, con sabbia chiara e finissima, che con quel pò di vento che c’è ti entra dappertutto, come oramai sembra essere una costante in Marocco. L’acqua è freddina, ma avrei anche la tentazione di fare un bagno se non fosse che non mi fido a lasciare la roba sulla spiaggia, e tra l’altro mi sa che in albergo l’acqua che esce dalla doccia sia insufficiente per togliere il sale.

Tornando all’alloggio faccio i miei acquisti, come da programma (acquisti nell’ultima tappa, sia per non portarmi appresso per tutto il Marocco della roba, sia perché qui ad Essaouira lavorano un legno particolare che si chiama Tuia e che pare stia per estinguersi, visto l’uso intensivo che se ne è fatto a scopi commerciali): un tamburo, che ho sempre avuto voglia di comprare dai tempi delle prime volte a Pistoia Blues, un copriletto/all’occorrenza tappeto bello grande giallo blu e nero (guarda caso!), una sciarpa bianca di cotone, scatolame vario di legno (alla faccia della coscienza ecologista...) e, per ultima, una manina di quarzo come ciondolo. Siamo a corto di contante ora, e la cena è autoprodotta con insalata messicana col tonno, pane, acqua minerale.

Essaouira è una bella cittadina, ove l’elemento architettonico coloniale del tempo della dominazione portoghese spicca nella Medina e nel porto (ove si da risalto al fatto che Orson Welles girò qui le prime scene dell’Otello). I colori predominanti sono il bianco delle mura e l’azzurro degli infissi. Ci sono un sacco di turisti, ma si riesce a cogliere ancora un’autenticità locale quando si va nel porto all’arrivo dei pescherecci, che scaricano delle bestie colossali, dal pesce ai granchi. Ho tra l’altro goduto di uno splendido tramonto – con foto di rito scattatami da non meglio identificati italiani – dai bastioni del porto.

Sono riuscito in serata ad impacchettare il tamburo e le scatole nel tappeto, e poi ad infilare il tutto nel borsone comprato a Fes per riporvi lo zaino al deposito bagagli: doppia utilità dimostrata da un oggetto che sarà sì utile perché lo si può chiudere con un lucchetto, ma che ha un’estetica da vera e propria borsa della spesa locale da non potersi vedere senza raccapriccio.

Dopo qualche giorno – non pochi, in realtà – passato in compagnia, sono tornato solo, ma sia perché questo posto non è proprio Tangeri ed ispira invece tranquillità, sia perchè la spiaggia può essere frequentata con piacere (non ho trovato oggi quel vento pauroso per cui la città è famosa), sia perchè in fin dei conti il ritorno a casa è vicino, il non aver conosciuto gente nuova non mi ha creato a livello psicologico alcuna tensione. Meglio così, in fin dei conti le paranoie di Tangeri sono state dissipate appena mi sono mosso da lì.

Ho “attaccato” il libro di Chatwin, che poi è Le Vie dei Canti, ma ancora devo farmene un’idea precisa. Alta Fedeltà di Hornby, che ho finito, è un gran bel libro, scritto molto, molto bene. Per fortuna anche i timori riguardanti una eventuale carenza di roba da leggere (anche la Settimana Enigmistica ancora resiste!) non si sono concretizzati, data la quantità di persone che ho conosciuto e con cui ho passato in verità degli ottimi momenti nonostante le differenze linguistiche e/o culturali.

Essaouira, 4 Settembre

Oggi l’arte del perdere tempo raggiungerà i suoi estremi. Il pullman per Casablanca partirà solo a mezzanotte, ed il check out della stanza è ovviamente a mezzogiorno. Per fortuna sembra che mi consentiranno di lasciare qui i bagagli per la giornata, ma rimane il fatto che sarò a spasso per dodici ore. La soluzione migliore sembra essere quella di andarsene in spiaggia per l’intero pomeriggio, anche se ciò comporterà di arrivare a Roma con ancora addosso il costume sotto i pantaloni ed una considerevole quantità di sabbia. Male che vada, mi abbronzerò un pò.

Il sole, invero, picchia che è una bellezza, e sono costretto a tenere il cappello in testa e a mettere la protezione totale sul naso. In spiaggia c’è un sacco di gente come ieri, ma l’arenile è talmente grande che non solo c’è spazio per tutti, ma si può tranquillamente giocare sia a racchettoni che a calcio, quest’ultima attività favorita dalla compattezza della sabbia. Sul mare grava una cappa di foschia, e al posto del famoso vento di qui tira solo una leggera brezza. A livello percentuale le donne sono pochine, e la gran parte di esse rimane vestita; c’è un posto di polizia, con agenti che pattugliano sia a cavallo che con moto a quattro ruote, ed il bagnino domina la situazione dal suo alto seggiolone giallo.

Qui non ci sono bambini ciccioni: evidentemente il fatto che non ci sia un Mc Donald’s incide...; a dire il vero, anche nelle altre città marocchine dove Mc Donald’s è presente (con prezzi però al di là degli standard locali), sono proprio pochi i ciccioni in generale, salvo forse qualche donna di una certa età, ma i fisici asciutti dei marocchini non sono quelli dei morti di fame. Mendicanti ne ho trovati ovunque in Marocco: anziani, spesso ciechi, e donne; non ho idea di come funzioni l’assistenza sociale e neanche se esista, ma in proporzione di gente che ti chiede soldi ce n’è di più a Roma.

Adesso capisco la luce negli occhi di Sebastian e Daniela, quando mi parlavano di Essaouira: in effetti, tra i luoghi che ho visitato in Marocco, questo è sicuramente il più romantico, con le sue deliziose piazzette e la lunga spiaggia che permette di camminare per tutta la baia, dal porto ad una fortezza diroccata, su di una battigia in continuo movimento per via della marea (la linea si sposta anche più di 50 metri). Se bisogna trovare una pecca in questa città, è costituita di sicuro dall’umidità che, una volta calato il sole, pervade ed impregna qualsiasi cosa, tanto che anche il letto in albergo odorava di muffa; la sera fa freddo, per uscire è necessaria una felpa, e io sono riuscito a dormire con ben due coperte: per essere in Africa, niente male!
Perdere tempo di sera è più difficile. Girata due o tre volte la zona dei negozi, ed ammirate delle vere e proprie opere d’arte di intarsio, specialità degli ebanisti locali, sono passato in albergo a prendere dallo zaino la mia scatoletta di insalata messicana col tonno, che ho consumato sui bastioni del porto. In albergo mi hanno guardato un pò storto, forse perché avrebbero preferito che li liberassi del mio bagaglio, ma sanno che il mio pullman parte a mezzanotte e che ovviamente non ho alcuna intenzione di trascinarmi zaino, zainetto e borsone in giro per Essaouira per altre quattro ore. Finita la cena mi sono piazzato su un muretto nella piazza principale, davanti al porto, a leggere Chatwin. La lettura è purtroppo disturbata da corse, grida e casini vari di una masnada di marmocchi, che come in tutto il mondo devono necessariamente far avvertire la loro presenza.    Sono poi giunti due giovani locali con chitarra acustica al seguito, e nella migliore tradizione mondiale hanno cominciato a storpiare di brutto pezzi di Pink Floyd e led Zeppelin: ho però resistito alla tentazione di chiedergli di farmi suonare un pò. Facendo un ulteriore giro per negozi mi è cascato l’occhio su una vetrina di CD: registrazione dal vivo di gruppo marocchino con Page e Plant, da cui poi sono stati tratti brani per No Quarter; dopo aver titubato per un pò per il prezzo (80 dirham) mi sono detto che mai e poi mai avrei ritrovato il CD in questione in Italia, per cui ho effettuato l’ennesimo acquisto.

Preso lo zaino in albergo, mi sono incamminato per la distante stazione degli autobus. Appena fuori della Medina mi sono fermato a chiedere la direzione ad un signore che, con moglie, due figlie ed un’auto nera, considerata la mia situazione di sovraccarico a causa del borsone/acquisti, mi ha spontaneamente dato un passaggio. Mai ringraziamenti furono più sentiti!

La famosa arte di perdere tempo è attesa ora ad una nuova piccola sfida: un’ora e mezzo da trascorrere alla Gare Routiere di Essaouira, dopodiché spero proprio di dormire di sasso sul pullman.

Dacché ci sono, spendo qualche riga sui marocchini, che prima di questo viaggio conoscevo solo come venditori di asciugamani sul litorale ostiense e come occasionali malfattori di bassa lega in Tribunale. Ho conosciuto, o almeno visto, un popolo che vanta al suo interno profonde differenze: già in strada si può notare come, accanto a soggetti vestiti “all’europea”, diciamo così, molte persone (e non solo anziane) vestono ancora con il tradizionale caftano e le ancora più tradizionali babbucce. Il telefonino ce l’hanno quasi tutti, quanto e più che in Italia, dato che anche qui le promozioni delle compagnie telefoniche si sprecano. Sulla distribuzione della ricchezza posso pronunciarmi solo per quello che ho visto, ovvero pochi con molto, molti che se la cavano, alcuni nella miseria più nera, quindi un pò come dappertutto nel mondo (in ogni caso stasera ho visto una mendicante raccogliere un gomma sputata da terra...). Sono un popolo che quando s’incazza non ha mezze misure: ho assistito ovunque sia andato a litigi non solo verbali, e addirittura a Fes, dinanzi la stazione ferroviaria, uno ha preso dal banco di un venditore di spremute un coltello e si è avventato sul suo avversario (per fortuna è stato trattenuto da alcuni astanti). L’unica esperienza dell’ospitalità marocchina l’ho fatta stasera con il passaggio ricevuto pro bono. Nella maggior parte dei casi chi ti rivolge la parola vuole soldi, ma altre volte è successo che l’intenzione fosse solo quella di scambiare due chiacchiere, magari per testare il proprio inglese come mi è successo con un ragazzo alla stazione CTM di Tangeri (non ricordo assolutamente il suo nome, solo che studiava da programmatore di computer, ma è uno dei tanti cui ho dato il biglietto con il mio sito internet) e con Said di Fes (altro che risentirò sulla Rete). A proposito di Rete, anche gli amici di lingua anglosassone del viaggio nel deserto hanno avuto il mio biglietto, per cui il mio sito sarà contattato anche dall’altra parte del pianeta: dovrò decidermi a mettere un counter...

Casablanca, 5 Settembre

Sono arrivato un pò troppo presto, alle 5,00, mentre l’aereo parte alle 14,05: d’accordo che devo fare il check in molto tempo prima per essere sicuro di trovare posto, visto che il volo è tutto pieno, ma qui rischio che ancora non ci siano treni per l’aeroporto. Tanto per cambiare, c’è in programma una lunga attesa, per cui sfrutterò inizialmente la stazione della CTM, che pare molto, ma molto più accogliente di quella ferroviaria Casa-Port, dove i posti a sedere sono ben pochi. Dopo un alternarsi di Settimana Enigmistica, penniche e Chatwin, alle 8,00 mi sono mosso per la stazione di Casa-Port: sul treno per l’aeroporto finisco per incontrare (piccolo, il Marocco...) uno degli australiani della gita nel deserto che, lasciata Marrakech per Casablanca, è oggi in partenza per Londra.

Arrivo in aeroporto alle 9,30, e di fare il check in ovviamente non se ne parla, è troppo presto. Viene quindi riesumato il Corriere della Sera acquistato a suo tempo a Meknes: mi ci siedo sopra (per terra, ovviamente) e aspetto, dando un’occhiata ogni tanto al tabellone delle partenze in attesa che mi possa registrare sul volo. Il didietro, dopo cammelli, sabbia, pullman, treno, non è che sia felicissimo di questa sistemazione, ma tant’è. Buffo come ovunque vada senta gente discutere animatamente: anche qui in aeroporto, come d’altronde già alla stazione CTM stamattina, c’è sempre qualcuno che urla contro qualcun altro: dev’essere uno sport nazionale.

Mi controllano quattro volte il passaporto: in due occasioni mi chiedono se ho valuta marocchina, o italiana, e se posso “fare un regalo”; me la cavo con un sorriso da gnorri, e spendo i miei ultimi 190 dirham acquistando una maglietta di Marrakech non eccezionale, ma piuttosto che portarmi in Italia carta straccia...

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Tutto sommato il bilancio del viaggio è positivo, ho visto buona parte del paese anche se avrei voluto approfondire le zone del deserto, cosa che avrebbe in ogni caso comportato un pò di disagio dal punto di vista igienico. Il fatto di viaggiare da solo ha pesato solo in alcuni momenti, ma come al solito tutto dipende dalla fortuna che si ha nell’incontrare persone con cui condividere una parte dell’esperienza di viaggio. Il percorso che avevo tracciato prima di partire, e che ho quasi fedelmente seguito, si è rivelato buono, ma non avevo considerato il fatto che la gran parte dei posti non merita più di un giorno di visita. L’alloggio peggiore e quello migliore li ho trovati entrambi a Chefchaouen, veramente dalle stalle alle stelle, mentre il cibo migliore, strano a dirsi, è stato quel panino ripieno di spiedini e cosparso di polvere piccante che ho mangiato sulla strada da Chefchaouen a Fes. Ho scattato – incredibile per le mie abitudini – ben quattro rullini di fotografie: sono proprio curioso di vedere se riusciranno a dare un’idea di quello che ho passato in questi sedici giorni, anche se a livello di spettacolarità non ho visto posti dove si rimane estasiati. Se si eccettuano alcuni giorni di fastidioso raffreddore (grazie, Davide!), non ho avuto per fortuna i problemi di salute che pensavo un posto come il Marocco mi avrebbe procurato: la scorta di Bimixin è integra, mentre quella di Enterogermina è stata appena intaccata: tutto buono per il prossimo viaggio!

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LE “DRITTE”...

Guida consigliata – Come al solito, la Lonely Planet, anche se ce l’hanno tutti (francesi esclusi, ovviamente!) e quindi i posti da essa consigliati sono un pochino affollati...

Cambio – Nessun problema per cambiare le lire in dirham, unica valuta utilizzata; la carta di credito è accettata solo negli alberghi di più alto livello, e in alcuni dei negozi nei souk.

Prenotazioni – A livello di alberghi di bassa categoria capita spesso che per telefono rispondano di essere completi. A Chefchaouen la Pension Cordoba accetta prenotazioni telefoniche. A Marrakech, andando nel deserto con una delle gite organizzate dall’Hotel Ali, si ha la possibilità di prenotare anche la stanza per quando si torna.

Strade – In fin dei conti accettabili: asfaltate ma un pò strette; abbastanza sconnesse quelle sulle montagne del Rif, arrampicata piena di curve sull’Atlante.

Ferrovie – Precise le corse e pulite le carrozze, tutte con aria condizionata funzionante; gli orari appesi nelle stazioni sono chiari e comprendono tutte le tratte a disposizione (purtroppo non molte).

Pullman – Abbastanza efficienti quelli della CTM (in un solo caso l’aria condizionata non ha funzionato, altrimenti è “a palla” pure la notte: portarsi una felpa!); in genere si possono prenotare, partono con un discreto ritardo ma arrivano in orario; mezz’ora prima della partenza bisogna registrare il bagaglio, per il quale si pagano circa 5 dirham a collo in più oltre al biglietto. Se possibile, evitare i pullman delle altre compagnie: c’è chi è dovuto scendere a spingere...

L’itinerario – Arrivando in aereo, le tappe sono state: Casablanca-Rabat-Tangeri-Chefchauoen-Fes-Meknes-Marrakech-Zagora-Marrakech-Essaouira-Casablanca. Si vede buona parte del paese, anche se sarebbe opportuno dare un’occhiata più ampia alla parte desertica nella zona di Erfoud e delle Gole di Dades (il tutto eventualmente tramite l’organizzazione dell’Hotel Ali di Marrakech). Ricordarsi, nel pianificare il viaggio, che qualsiasi città del Marocco si può visitare tranquillamente in una sola giornata.

Gli alloggi

Casablanca – Dall’aeroporto è semplicissimo arrivare in città, dato che il collegamento ferroviario si trova proprio sotto l’aerostazione ed è ben indicato. Ho alloggiato all’Hotel de Paris, in zona centrale a 15 minuti dalla stazione di Casa-Port e a 5 minuti dalla stazione CTM: pulito, con bagno in camera, ma un pochino esoso con la richiesta di 350 dirham (anche se mi hanno dato una stanza doppia); non accettano carte di credito.

Rabat – L’Hotel Majestic, ristrutturato di recente, è a 15 minuti dalla stazione ferroviaria, praticamente di fronte ad uno degli ingressi principali della medina: pulito, con bagno in camera, accetta carte di credito (226 dirham a notte per persona). Consigliato.

Tangeri – Dalla stazione ferroviaria, distante dalla città, conviene prendere un petit taxi, molto più economico dei grand taxi (nei quali si viaggia peraltro stipati); l’Hotel El Muniria è molto economico (53 dirham) ma, se la doccia è in camera, il bagno è in comune ed è infestato dalle zanzare; fino all’una di notte si sente la musica proveniente dal locale Tangier Inn, situato proprio sotto, e dall’Hotel Ibn Battuta, a fianco; è ad una ventina di minuti dalla medina, e a 5 dal porto e dalla stazione CTM. Camminando per Tangeri guardatevi alle spalle. 

Chefchaouen – Per chi non è un atleta sarebbe meglio farsi dare un passaggio da un petit taxi fino all’ingresso della medina (poi comunque zaino in spalla e via, la auto non entrano); alloggiare alla Pension Cordoba (telefono 062519912), assolutamente: per 60 dirham compresa la colazione ho avuto pulizia e cortesia; seguire le indicazioni dalla piazza principale; da evitare la Pension Valencia, buona solo per i punkabbestia (d’altronde con 30 dirham...).

Fes – L’Ostello della Gioventù è pulito, con stanze da due, quattro o cinque letti; è a 20 minuti tanto dalla stazione ferroviaria che da quella CTM, e costa 55 dirham compresa la colazione; il check out è alle 9,00 e non è consentito lasciare bagagli in deposito.

Meknes – Facendo base a Fes, si può visitare in una mezza giornata (è solo ad un’ora di treno), senza bisogno di passarci la notte.

Marrakech – Conviene alloggiare dalle parti della piazza Djemaa el-Fna (dalla stazione ferroviaria conviene prendere un petit taxi, mentre la stazione CTM è a venti minuti di cammino), dove c’è una moltitudine di alberghetti economici. L’Hotel Ali è quello “tecnologicamente avanzato”: organizza gite nel deserto, ha una sala internet, accetta carte di credito (ma, attenzione, applica una commissione del 10%!), e costa 100 dirham per notte (stanza singola con bagno e doccia, ma vedi il racconto...), compresa la colazione; l’Hotel Provence era abbastanza pulito, ma con i bagni (alla turca) e le docce in comune: dopo trattativa abbiamo preso in due una stanza da cinque per 250 dirham.

Zagora – Tenda dei beduini nel deserto: portarsi acqua e lenzuola (o comunque qualcosa ove stendersi), mentre per il bagno si può scegliere tra utilizzare le dune (la privacy è scarsa, sono un pò basse) o attendere il ritorno a Zagora per utilizzare quello di un albergo ove si viene scaricati dai cammelli la mattina.

Essaouira – Per 100 dirham l’Hotel Civilization des Remparts offre delle stanze ampie con bagno, pulite, ad una ventina di minuti dalla stazione CTM; c’è una discreta puzza di muffa, ma la città è molto umida.

Raccomandazioni – Basta saper dire di no quando occorre (in arabo si dice llà).    

BUON VIAGGIO!!!